I capitolari di Guido

Capitolare forse di Ludovico II (a. 856)

215. 856, inizio (Capitulare papiense pro lege tenendum). Boretius 215; Azzara 42.
Era in un cod. sangallese perduto; finito in Paris 4613 (che omette il c. 6) e in Blank. 130 (c. 236-237: v. Capitularia

In nomine sanctae et individuae trinitatis, anno incarnationis ..., indictione IV. Dum conventum fidelium nostrorum palatio nostro Ticine civitatis convocaremus et simul episcoporum et nobilium nostrorum consultu non solum aecclesiasticam utilitatem et populi pacem ... sed etiam totius regni statum perquirere studeremus, inter reliqua populus noster quasdam petitiones optulit, quas nos ... libenter suscepimus, adque ideo subter annotata capitula ad eorum utilitatem conscribi fecimus, quia in futurum pro lege tenenda firmamus.

6. De cartis quae a quibusdam personis falsae appellantur, cosnstituimus ut, si notarius superfuerit et testes, ipsi eam veram et ideoneam faciant; et si testes mortui fuerint et notarius superfuerit, cum duodecim iuratoribus veram et idoneam eam faciat. LP Loth 72


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Institutio  di Carlo III (a. 882): qui

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Capitularia Regum Francorum, II, n. 224, p. 107 (qui)

Guido 5 (891)


Vietiamo a chicchessia di entrare, invadendoli, su beni acquistati per mezzo di una carta fatta da chi, non avendo di quei beni la legittima disponibilità (vestitura legitima), è notoriamente considerato e da considerare usurpatore (dinoscitur invasisse); infatti, solo dopo che quest’ultimo li avrà vittoriosamente rivendicati in giudizio (legali et iudiciali diffinitione) sarà da considerare legittima la sua disponibilità di quei beni, e di conseguenza legittima la sua facoltà di disporne a favore di altri. E quindi, se qualcuno occuperà i beni senza averne il diritto (sine lege invaserit res), non solo li perderà, ma pagherà anche il banno dovuto al re.

Guido 6 (891)

Stabiliamo queste procedure da seguire, quando i documenti siano da qualcuno impugnati per falso: se il notaio che ha scritto il documento e i testimoni in esso registrati saranno ancora in vita, insieme a dodici sacramentali ne provino la veracità per mezzo del giuramento, e lo stesso faccia, pure con dodici sacramentali, colui che l’ha prodotta in giudizio e la deve difendere dall’accusa. Colui che ha lanciato l’accusa, dal canto suo, giurerà preventivamente di non averlo fatto pretestuosamente, ma allo scopo di affermare quelli che considera i suoi giusti diritti sulle cose alle quali il documento si riferisce. Il notaio che rifiuterà di prestare il giuramento, e che perciò non confermerà la veracità della carta che porta la sua sottoscrizione, non potrà riscattare la sua colpa e perderà la mano, mentre il detentore della carta (colui che l’ha presentata in giudizio) perderà i beni (circa i quali la carta, non essendo verace, aveva stabilito un suo ingiusto diritto) e pagherà una somma adeguata al suo rango e al suo patrimonio (widrigildum componat). Nel caso poi il notaio sia morto ma siano ancora in vita i testimoni, la procedura sarà questa: si confronti in primo luogo la carta presentata con altre due scritte dalla mano dello stesso notaio, e se ne provi poi la veracità per mezzo del giuramento, che dovrà essere prestato dai testimoni e da colui che l’ha portata in giudizio, il quale giurerà per settimo, preceduto e seguito dai sacramentali, dei quali sei siano suoi vicini e parenti, e cinque siano uomini giudicati idonei a testimoniare e giurare.